Gomito RIGIDO o BLOCCATO
ANATOMIA
L’articolazione del gomito appartiene al gruppo delle “Diartrosi”. Quest’articolazione congiunge il braccio all’avambraccio e appartiene all’arto superiore. Anche se viene studiata come un’articolazione semplice tra braccio e avambraccio, in realtà essa è composta di ben tre elementi anatomici: omero, ulna e radio tutti uniti da una propria articolazione
Quella del gomito è un’articolazione complessa poiché composta da ben tre differenti sottogruppi:
- Condilartrosi (tra omero e capitello del radio)
- Ginglimo angolare (tra omero e ulna) responsabile dei movimenti di flessione ed estensione)
- Ginglimo laterale (tra radio e ulna) responsabile dei movimenti di prono-supinazione.
Queste tre articolazioni sono protette da una sola capsula rinforzata da numerosi legamenti che insieme contribuiscono e concorrono alla stabilità articolare. Tali legamenti sono:
- Legamento anulare del radio
- Legamento collaterale mediale o ulnare
- egamento collaterale laterale o radiale
- Legamento quadrato
- Legamento arciforme (di Cooper)
I movimenti del gomito (Range Of Motion-ROM) sono sostanzialmente di due tipi:
- Flessione – Estensione
La flessione del gomito arriva fino a 145° e l’estensione fino a 0°; nella la vita quotidiana, tuttavia, può essere sufficiente un ROM che va dai 130° in flessione ai 30° in estensione.
- Pronazione – Supinazione
Il movimento di pronazione è quello che consente di ruotare il palmo della mano in modo da mostrarne il dorso mentre quello di supinazione, al contrario, mostra il palmo della mano. Il ROM varia da 90° (pronazione) a 90° (supinazione); nella la vita quotidiana, tuttavia, può essere sufficiente una prono-supinazione di 50°-50°.
Sulla scorta delle osservazioni su esposte si può comprendere perché , quando si subiscono patologie del gomito che provocano la perdita di una piccola percentuale del ROM, non si hanno grossi problemi mentre con percentuali più elevate, si cominciano ad avere difficoltà di funzione e utilizzo.
EZIOPATOGENESI
La rigidità del gomito è studiata da molto tempo ma, nonostante ciò, solo negli ultimi anni si è avuto un ampliamento e perfezionamento sull’eziopatogenesi grazie all’avvento dell’Artroscopia. In tal senso, è stato molto importante un lavoro pubblicato su “Clin Orth North Am.” del 2000, King GJW e Faber KJ dove viene evidenziato che l’incidenza del gomito rigido è del 20% post lussazione semplice, del 30% dopo frattura semplice e del 38% dopo frattura-lussazione. Sotto il profilo eziologico può essere classificata in:
A) Congenita
B) Acquisita (Su base infiammatoria e non infiammatoria)
Siccome tale suddivisione non tiene conto dell’origine anatomica, è stata proposta una classificazione che tenesse conto anche di tale criterio, per cui vi sono quelle di:
A) Origine intrinseca – dovuta a cause che sono all’interno dell’articolazione e che originano da alterazione delle superfici articolari e dell’osso sottostante; può essere primaria di origine genetica predisponente e non è infrequente osservarla in più soggetti appartenenti alla medesima famiglia; secondaria di origine autoimmunitaria, infettiva e postraumatica. Principali cause sono:
- Artrosi post-traumatica (frattura paletta omerale, olecrano, coronoide e capitelo radiale)
- Artrosi autoimmunitaria (artrite reumatoide)
- Artrosi primitiva
- Artrite infettiva
- Sinechie
- Lussazione – Frattura-Lussazione
- Mal consolidazione
B) Origine estrinseca – da cause che sono all’esterno dell’articolazione e che la circondano come la capsula, i legamenti, i muscoli e i tendini. Sono tutti quei casi in cui non sono coinvolte le superfici articolari. Fanno parte di questo gruppo anche le cause meno frequenti come le ossificazioni eterotopiche. Infatti, i tessuti periarticolari mostrano una tendenza a sviluppare ossificazioni rispetto ad altri. L’ossificazione eterotopica (HO) non deriva dalla cronologica successione di un processo di precipitazione minerale come avviene nella calcificazione dove i sali di calcio circolanti precipitano su complessi tissutali in fase d’involuzione, ma consiste in un processo chimico-biologico di un’organizzazione tissutale con formazione di tessuto osseo in organi al di fuori dello scheletro. L’HO si presenta con un percentuale di circa il 3% nelle semplici lussazioni del gomito e fino al 20% nelle fratture-lussazioniinoltre, può manifestarsi fino all’ 80% in quei pazienti che hanno subito contemporaneamente un trauma cranico e frattura del gomito.
Infine, in questo gruppo, vi sono quelle che compromettono la cute, quale esito cicatriziale e/o da ustioni, e quelle da cause neurologiche:
- Congenita
- Lesioni muscolari
- Neurologiche
- Ossificazione eterotopica
- Ustioni
- Cicatrici ipertrofiche
- Retrazione capsulo-legamentosa
C) Origine mista – quando sono entrambe le forme a essere la causa di gomito rigido.
FATTORI DI RISCHIO PER GOMITO RIGIDO
Il danneggiamento delle strutture anatomiche che si produce a seguito di un trauma al gomito rappresenta una delle cause più comuni di rigidità. Il rischio è legato non solo al tipo e all’entità del trauma subito ma anche dall’effetto che questo produce, in particolare, sulla cartilagine del gomito. Tale lesione può essere molto comune dopo energici traumi al gomito ma, di solito, migliora nel tempo. Vi sono, però, alcuni fattori che influenzano l’instaurarsi di una rigidità, questi sono:
- Prolungata immobilizzazione – un’immobilizzazione del gomito che va oltre i tempi prestabiliti predispone a un più alto rischio di sviluppare una rigidità.
- Una sovrapposizione infettiva – qualsiasi danno subito al gomito che si complica con lo sviluppo di un’infezione è a maggior rischio di rigidità.
- Predisposizione biologica congenita
- Predisposizione psico-sociale
Diagnosi
La storia anamnestica deve essere raccolta quanto più completa e meticolosa possibile e dovrebbe includere l’inizio, la durata, il carattere e la progressione dei sintomi. E’ essenziale ricercare eventuali traumi pregressi con relativa diagnosi formulata; eventuali patologie concomitanti come l’emofilia con emartrosi derivanti o condizioni neurologiche che coinvolgono spasticità; eventuali trattamenti effettuati, chirurgici e non compreso l’instaurarsi di complicazioni; infine, raccogliere dettagliatamente il percorso storico che ha portato alla rigidità. Si passa quindi all’esame obiettivo:
- Ispezione – modificazione del colore pelle, cheloidi cicatriziali, esiti di ustioni, asse meccanico, ecc.
- Palpazione – consistenza dei tessuti molli, pastosità sottocutanee, etc.
- ROM (Range of Motion) – valutazione della flesso estensione e prono supinazione; in base al ROM in flessione, la rigidità può essere valutata in: minima se maggiore di 90˚ – moderata se tra i 60˚ e 90˚ – grave se tra 30˚ e 60˚ – gravissima se inferiore di 30˚
- Esame neurologico – studio del nervo ulnare
Lo studio diagnostico prevede l’utilizzo d’indagini strumentali quali:
- Radiologia Standard – in A/P, LL e Oblique
- Tomografia Computerizzata – con ricostruzione 3D
- Risonanza Magnetica
Questi esami diagnostici sono in grado di fornire informazioni riguardo allo stato articolare, eventuale presenza di complicazioni dei tessuti intra ed extrarticolari, presenza di mezzi di sintesi e/o protesici.
In quei casi ove c’è il sospetto d’infezione sarà necessario il parere e i consigli dello specialista infettivologo.
SINTOMATOLOGIA
Una delle caratteristiche più evidenti di una rigidità del gomito è la difficoltà funzionale. Il paziente giunge all’osservazione lamentando e accusando alcune difficoltà che riscontra nella vita quotidiana come: aprire la porta, vestirsi, mangiare, ecc.; queste difficoltà sono dovute proprio alla riduzione nella flesso-estensione del gomito e alla riduzione della rotazione dell’avambraccio.
Particolarmente interessante costatare che Il dolore, nella maggior parte dei casi, è assente e quando presente è importante valutare bene le sue caratteristiche.
TERAPIA
Non tutte le rigidità di gomito richiedono il trattamento chirurgico ma solo quelle con postumi tali da rendere la funzione articolare incompatibile con una buona qualità di vita del paziente. Questo significa che lo specialista deve identificare e stimare bene alcuni parametri quali la funzione articolare e le caratteristiche del dolore. Gradi di flesso-estensione e prono-supinazione accettabili e compatibili sono, come si è già detto, quelle comprese rispettivamente tra i 30˚-130˚ gradi e 100° di rotazione.
Quando si decide di intraprendere un trattamento terapeutico, questo deve essere finalizzato al recupero funzionale e all’abolizione del dolore.
Il trattamento incruento (non chirurgico) può essere adottato in tutti quei casi ove sussiste una buona articolarità, assenza di ossificazioni eterotopiche e minima rigidità. Tale procedura consiste nell’uso di Farmaci per via sistemica, per infiltrazione locale e la fisiokinesiterapia. L’uso di Tutore articolato(non bloccato) associato a una Fisiokinesiterapia non troppo aggressiva, eseguita con esercizi passivi e attivi estremamente calibrati, rappresenta una modalità, con criteri terapeutici precisi, utilizzata e proposta sulla scorta di personali esperienze dello specialista.
Il trattamento chirurgico va adoperato quando è fallito quello incruento e in tutti quei casi con articolarità compromessa, presenza di ossificazioni eterotopiche, rigidità di grado avanzato. In ogni caso, è assolutamente sconsigliato lo sblocco in narcosi. E’ buona norma sottoporre al paziente il “Consenso Informato” in cui si elencano i presupposti terapeutici, compreso tutto il decorso post operatorio e tutte le possibili complicazioni durante e dopo il trattamento chirurgico. Il paziente deve essere consapevole e collaborare attivamente, anche con sostegno psicologico personale e assistito, al fine di raggiungere il risultato sperato. E’ buona norma attendere la risoluzione della fase infiammatoria del tessuto molle e questo periodo può oscillare dai 3 ai 6 mesi.
La Chirurgia Artroscopica – mediante capsulotomia, capsulectomia, release legamentosi, sinoviectomia, rimozione osteofiti, rimozione corpi liberi endarticolari, ecc. – può essere sufficiente in tutti quei casi di rigidità semplice, anche se la tecnica è piuttosto complessa e non priva di rischi e complicazioni tali da richiedere una grande esperienza tecnica del chirurgo. Rappresenta una procedura ideale in caso di rigidità da artrite e quando non vi è stato alcun precedente intervento chirurgico.
La Chirurgia Aperta (con taglio della cute) è da preferire in tutti quei casi di rigidità gravi e dove sono stati utilizzati mezzi di sintesi. Nei pazienti più giovani può essere presa in considerazione una tecnica che si chiama “artroplastica d’interposizione” che consiste nella rimozione della cartilagine articolare propria e la sua sostituzione con tessuto molle come la fascia muscolare. Nei casi più gravi si può prendere in considerazione l’impianto protesico. Tale metodica può essere indicata nei pazienti over 60 con gravi deformità articolari, grave artrosi post-traumatica e con basse richieste funzionali. Dopo l’intervento chirurgico, saranno predisposti i programmi di fisioterapia specifica per quel tipo di paziente.
PREVENZIONE
Alcuni autori consigliano alcuni criteri per prevenire la rigidità. In caso di trattamento incruento:
- Stabilire una precisa programmazione terapeutica
- Uso appropriato del tutoraggio
In caso d’intervento chirurgico:
- Uso del drenaggio per tutti gli interventi
- Tenere l’arto operato sollevato in alto ed esteso
- Utilizzo del bendaggio compressivo
- Consentire movimenti passivi (laddove possibile)
- Uso di farmaci come l’indometacina.
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